Addio a Maurizio Pollini, la forma dell’arte e il senso del mondo
Ci sono notizie che, anche se attese, ci illudiamo di non sentire mai: la morte di un grande artista è una di queste. Come se la grandezza potesse sostituire la naturale caducità di ogni essere vivente, conferendogli una sorta di immortalità immaginaria. Capita alle opere, sì, ma non ai corpi. Maurizio Pollini è stato un personaggio complesso, poliedrico, che condivide con pochi altri interpreti, in modo netto, quasi violento, la prerogativa di aver cambiato perfino il concetto stesso di interpretazione. C’è un prima e un dopo di lui. In cosa consistesse la sua specificità, questa sua innovazione nel modello interpretativo, sia della musica del passato che di quella contemporanea, si è capito subito. Già dalla vittoria del Concorso Chopin di Varsavia, nel 1960, quindi quando aveva 18 anni.
È STATO CHIAMATOpoco dopo, per suonare a Roma, per l’Istituzione Universitaria dei Concerti, nell’Aula Magna, sotto il grande affresco di Mario Sironi. All’epoca non era facile cogliere il sottile flusso di pensiero che correva tra l’affresco e la musica suonata da Pollini, quella rilettura del passato con l’orecchio di oggi. Contrariamente alle aspettative, il programma non prevedeva Chopin, ma un percorso tutto incentrato sulla tradizione tedesca: la Fantasia cromatica e fuga in re minore di Bach, la Fantasia in Do minore K. 475 seguita dalla Sonata in do minore K. 457 di Mozart e, nella seconda parte della serata, la Sonata op. 106 “Hammerklavier” di Beethoven. Come era già accaduto a Londra, fu la sonata di Beethoven a scatenare il dissenso della critica.
Chi ricorda solo gli elogi quasi celebrativi con cui ogni concerto di Pollini fu accolto negli anni successivi non può conoscere l’amarezza di quelle critiche: erano rivolte a una nuova idea di filologia musicale, proprio negli stessi anni in cui si cominciava a riflettere su come interpretare più correttamente la musica antica. Chi poi ha esaltato la “perfezione” di Pollini – pur dissentendo dalle sue posizioni politiche, ignorando che anch’esse obbedivano allo stesso criterio analitico delle interpretazioni musicali – non può comprendere quel rancore. Si è scritto che quella di Pollini era stata una lettura folle di Beethoven, mentre il pianista si era limitato a seguire le indicazioni metronomiche scritte sulla partitura, iniziando il primo movimento della sonata a una velocità ritenuta, all’epoca, inammissibile (il minimo a 138). Si è scritto che Beethoven aveva scarse conoscenze matematiche e che quindi le sue indicazioni metronomiche erano sbagliate. Ma il punto, come Pollini aveva ben capito, non era nell’accuratezza o meno di un metronomo, ma nell’eccitazione che il compositore chiedeva all’interprete. Le critiche si affievolirono gradualmente e finirono nel nulla, mentre l’esempio di Pollini si affermava e diventava una scuola. Ma nuove forme di dissenso, seppur di natura diversa, erano pronte a manifestarsi: quando Pollini accostava una pagina classica o romantica a una ancora quasi fresca d’inchiostro, o che veniva percepita come tale. La specificità delle sue letture, una romantica e l’altra legata all’avanguardia
PIÙ DI dalla critica, informata e quasi sempre, ormai, elogiativa, le critiche provenivano dal pubblico. Ricordo un concerto dell’Accademia Filarmonica Romana, in cui diverse persone reagirono indignate, quando Pollini attaccò, dopo uno Chopin travolgente, la Seconda Sonata di Pierre Boulez. Erano gli anni ’70 del secolo scorso, e la sonata era datata 1948, quindi era passato quasi un quarto di secolo. Fin dall’inizio divenne chiaro quale fosse il senso della musica per Pollini.
Due pagine comunicano, come poche altre, la specificità della sua lettura: una romantica e l’altra un capolavoro dell’avanguardia musicale. Nella Sonata in la maggiore D. 959 di Schubert, e nell’Andantino, in particolare, la melodia è di una desolazione senza speranza. Si ripete, rafforzata da un raddoppio dell’ottava. Poi c’è un tumultuoso, allucinatorio episodio intermedio. E quando la melodia ritorna, si inserisce un motivo lamentoso che la disturba. Pollini intona la melodia con una chiarezza quasi glaciale, poi scatena l’inferno con le scale tempestose della sezione intermedia. Quando la melodia ritorna, la cantabilità diventa contenuta, sommessa, come a voler comunicare una rinuncia, una sconfitta. La sonata di Boulez dice quasi la stessa cosa, ma con uno stile diverso, alienato. La forma, tuttavia, rimane quella di una sonata. Romanticismo e avanguardia esprimono entrambi l’inadeguatezza della musica a raccontare l’infelicità. Eppure lo raccontano come nessun’altra forma potrebbe.
LA MIGLIORE STIMA Il ritorno di Pollini alla scrittura originaria, la sua ricerca di una sicurezza tecnica sempre più precisa non intendevano sigillare la musica nella rassicurante cornice di una teca museale, che chiude le opere del passato in una bolla che respinge le aberrazioni musicali del presente. Come la poesia, la musica non era per Pollini una consolazione per i dolori della vita: era chiaro, da come suonava, quanto sentisse nella melodia, nelle armonie dei romantici il canto, il grido che parla di dolore. La sua lezione portò ai pianisti venuti dopo di lui l’abitudine di sprofondare nella struttura della composizione, modificando così anche la pratica dell’ascolto, così da rendere possibile a noi di ricostruire mentalmente il pensiero che dava forma a quella musica. Perché come Pollini aveva capito fin da ragazzo, la forma – nell’arte – è lo strumento privilegiato con cui organizzare il nostro senso del mondo: nella struttura della musica sta la sua ratio, il suo mezzo per rendersi comprensibile, così come per dare una logica all’irrazionale. Forma sonata, fuga, endecasillabo, nudo d’artista, sono la scelta del modo per passare da un’immagine mentale a un’opera concreta: “Si è artisti – scriveva Nietzsche – solo al prezzo di sentire ciò che tutti i non artisti chiamano “forma” come contenuto, come ‘la cosa stessa’. Con ciò ci si ritrova certamente in un mondo capovolto: perché ora il contenuto diventa qualcosa di meramente formale – compresa la nostra vita”.
La cerimonia funebre avrà luogo nel foyer del Teatro alla Scala, dalle ore 10 alle ore 14 di martedì 26 marzo.