La cultura e la società possono tornare indietro nel tempo?
Lasciare il caos della città per trasferirsi in una piccola fattoria di 18 ettari, vivere dei frutti del lavoro e disconnettersi dal mondo iperconnesso, inseguendo un sogno di autosussistenza e una vita più autentica. Questo è ciò che hanno fatto gli americani John e Molly Chesterin una storia raccontata per 8 lunghi anni e che nel 2018 è diventato un documentario, piccolo caso al botteghino (in Italia è uscito con il nome “La fattoria dei nostri sogni“). Non sono gli unici: da chi riscopre vecchie tecnologie come le fotocamere analogiche a chi abbraccia stili di vita come cottagecore e non in reteil numero di persone che rifiutano la modernità per “tornare indietro” nel tempo sembra crescere. Ma è davvero possibile una regressione culturale e sociale in un’epoca di progresso tecnologico apparentemente inarrestabile? Voglio fare una passeggiata in questo affascinante paradosso.
Per i puristi della lingua
Perdonatemi i termini “cottagecore” e “off-grid”, ma ci sono tendenze con un nome preciso, e non intendo confondere i lettori ma aiutarli ad orientarsi. Per essere chiari: Cottagecore è uno stile di vita estetico che celebra la vita rurale e l’artigianato tradizionale. È caratterizzato da un’idealizzazione romantica della vita di campagna, con un focus su attività come giardinaggio, cucina da zero, fai da te e arredamento rustico per la casa. Più che una scelta di vita concreta, il cottagecore è spesso una fuga fantastica dalla modernità, molto popolare sui social media.
Non in reteinvece, si riferisce a uno stile di vita in cui si vive scollegati dalla rete elettrica e idrica pubblica, in modo autosufficiente. Chi vive fuori dalla rete genera la propria energia (spesso con pannelli solari o turbine eoliche), raccoglie l’acqua piovana, coltiva il proprio cibo e gestisce i rifiuti in modo autonomo. È una scelta motivata dal desiderio di indipendenza, sostenibilità e contatto con la natura, che richiede però notevole impegno e capacità pratiche.
L’fattoriache incontreremo più avanti in questo articolo, è uno stile di vita basato sull’autosufficienza e l’autoproduzione. Chi pratica l’homesteading mira a produrre la maggior parte di ciò che consuma in casa, riducendo la dipendenza dal sistema economico esterno. Si fa il pane da solo, usa energia rinnovabile, acquisisce pratiche artigianali e così via. Se il cottagecore è una tendenza più estetica, l’homesteading implica un cambiamento sostanziale: è la forma più vicina al “ritorno indietro nel tempo” culturalmente.
Nostalgia per un passato idealizzato
Alla base dell’apparente desiderio di “tornare indietro nel tempo” sembra chiaramente esserci una profonda insoddisfazione per il presente e una nostalgia per un passato idealizzato. In un mondo sempre più frenetico, digitalizzato e disconnesso dalla natura, a molti manca la semplicità e l’autenticità di uno stile di vita più tradizionale. L’idea di un’esistenza scandita da ritmi naturali, fatta di lavoro manuale, rapporti faccia a faccia e contatto con la terra, esercita un potente fascino su chi si sente alienato dalla modernità.
Altrettanto chiaramente, questa nostalgia si basa spesso su una visione romantica e selettiva del passato. Tendiamo a dimenticare le difficoltà, le privazioni e le ingiustizie che hanno caratterizzato la vita in passato, per concentrarci solo sugli aspetti più affascinanti. È una forma di “amnesia storica” che porta a idealizzare epoche che sono tutt’altro che idilliache nella realtà.
L’illusione di tornare indietro nel tempo e di sfuggire alla tecnologia
Un altro aspetto che spinge alcune persone a “regredire” culturalmente è la percezione che la tecnologia stia prendendo il sopravvento sulle nostre vite in modo invasivo e potenzialmente dannoso. Dagli smartphone che ci rendono sempre raggiungibili e bombardato di stimoliall’intelligenza artificiale che minaccia di sostituire il lavoro umanomolti vedono la tecnologia come una forza alienante e disumanizzante. Non hanno tutti i torti, naturalmente. I pericoli ci sono. Molte persone non pensano secondo criteri Protopiama si abbandonano all’esaltazione delle tecnologie o, al contrario, alla demonizzazione.
Da qui la voglia di “staccare la spina”, di liberarci dalla dipendenza dai dispositivi digitali per riscoprire un contatto più diretto con la realtà. C’è chi passa ai vecchi cellulari a conchiglia, chi rinuncia ai social, chi sceglie di vivere senza elettricità né connessione internet. Pochi ma, come i canarini in miniera, fortemente indicativi di qualcosa che non va.
Ma è davvero possibile sfuggire completamente alla tecnologia nella nostra società? No non farlo. L’uomo non è mai stato senza tecnologia, in nessuna epoca storica. “Fare a meno della tecnologia” si tratta di una sensazionale falsità ideologica. Anche chi vive in una baita nel bosco probabilmente si affida a qualche strumento o conoscenza resa possibile dal progresso tecnico-scientifico. Rinunciare del tutto ai vantaggi e alle comodità della vita moderna non è una scelta che pochi sono veramente disposti a compiere fino in fondo. È una scelta che nessuno può fare del tutto.
Ritorno alla comunità e alla spiritualità
Un altro elemento che sembra accomunare molte delle tendenze “regressive” è la ricerca di un senso di comunità e di spiritualità. In una società sempre più individualista e secolarizzata, dove cominciano a vedersi in giro “Ministri della solitudine”cresce il bisogno di connettersi con gli altri e con una dimensione trascendente.
Ecco allora la rinascita delle religioni e delle spiritualità tradizionali, dalla riscoperta del cristianesimo all’interesse per il paganesimo e lo sciamanesimo. O l’emergere di movimenti come ilallevamento e il suddetto cottagecore, che celebrano la vita in piccole comunità autosufficienti, unite da valori e pratiche condivise. Anche qui, però, c’è il rischio di un’idealizzazione ingenua. Le comunità del passato non erano esenti da conflitti, pregiudizi e dinamiche di potere. E l’autosufficienza totale è un’utopia praticamente irraggiungibile nel mondo interconnesso di oggi.
La reale impossibilità di “tornare indietro nel tempo”
In definitiva, l’idea di poter davvero “tornare indietro” il tempo a livello sociale e culturale è un’illusione. Per quanto possiamo rifiutare o limitare l’uso della tecnologia, non possiamo cancellare il progresso della conoscenza e delle idee che hanno plasmato il nostro mondo. Possiamo e dobbiamo certamente trarre ispirazione dal passato, riscoprire valori e pratiche che sembrano più autentici e appaganti. Ma non possiamo semplicemente riportare la società a un’epoca precedente, ignorando tutto ciò che è accaduto nel frattempo.
Molte delle conquiste del progresso (dalla medicina all’istruzione diffusa, dai diritti civili alla qualità della vita) sono cose a cui difficilmente vorremmo davvero rinunciare. Senza contare che guardare al passato con nostalgia, come accennato, significa spesso dimenticare quanta sofferenza, ingiustizia e limitazione ci fossero in quelle società.
Verso una sintesi tra tradizione e innovazione
FForse, più che un impossibile ritorno al passato, abbiamo bisogno di una nuova sintesi tra tradizione e innovazione. Tornare indietro nel tempo, sì, ma poi “tornare al futuro” con un modo di integrare il meglio dei valori e delle pratiche del passato con le opportunità e le sfide del presente. Ciò significa utilizzare la tecnologia in modo più consapevole e mirato, piuttosto che esserne dominati. Coltivare il contatto con la natura e il lavoro manuale senza rinunciare alle comodità moderne. Riscoprire il senso di comunità e spiritualità, adattandolo alla diversità del mondo odierno.
Non si tratta di negare il progresso, ma di orientarlo verso obiettivi di maggiore equità, sostenibilità e benessere per tutti. Un compito che richiede visione, creatività e impegno collettivo. La sfida, insomma, non è tornare indietro nel tempo, ma andare avanti in modo diverso. Costruire una società in cui la tecnologia sia al servizio delle persone e non viceversa. In cui il senso di comunità e la cura per l’ambiente non siano un rifugio dal mondo, ma un impegno a cambiarlo.
Le piccole “regressioni” culturali a cui assistiamo non dovrebbero essere stigmatizzate. Vanno ascoltati, compresi e in una certa misura benedetti.
Perché sono un segno di questa necessità di cambiamento. Un tentativo istintivo, anche se a volte ingenuo, di riconnettersi con dimensioni più umane ed essenziali dell’esistenza. Sta a noi raccogliere questa sfida e trasformarla in un’opportunità di crescita. Senza nostalgia di un passato idealizzato, ma con la consapevolezza critica di chi sa trarre il meglio da ogni momento per costruire un futuro migliore.
Perché in ultima analisi, la direzione del progresso non è necessariamente lineare. A volte, per andare avanti, bisogna davvero tornare indietro nel tempo per imparare. E per portare con noi, nel viaggio verso il domani, la saggezza e l’umanità di coloro che ci hanno preceduto.