L’addio di Luciano Benetton: “Tradito dai manager. Mi sono accorto che i conti non tornavano, poi lo shock: un buco da 100 milioni”
La voce di Luciano Benetton è ferma. Ha sempre avuto un atteggiamento positivo. Negli anni Sessanta, ormai dimenticati, in quelle zone agricole del Veneto, diciamo “depresse”, la voglia di portare un buon lavoro era alla base dello sviluppo della sua azienda. Anche sopportando la tragedia del Ponte Morandi, seppur “Signor Luciano” come è sempre stato chiamato nel gruppo, aveva da tempo abbandonato (dal 2012) ogni attività in azienda per dedicarsi ai suoi progetti personali come «Imago Mundi» che riuniva quasi 30mila artisti, lo aveva vissuto con la «responsabilità» di chi sa di essere responsabile sia di ciò che fa sia di ciò che non fa.
Ma in queste settimane le sue parole sono di nuovo cariche di amarezza, quella di un uomo nato nel 1935. Un’amarezza profonda.
Si prepara a lasciare la Benetton che ha creato nel giorno del suo compleannoDa cui tutto è nato.
I 5mila negozi nel mondo, gli imprenditori che con lui avevano aperto luoghi identitari non solo scaffali pieni di maglioni colorati. Sessant’anni dopo, in quel Veneto dove non era stato facile creare luoghi di lavoro più confortevoli delle case, con l’aria condizionata, facendo il contrario di quanto accadeva nelle fabbriche lì accanto, ci sarà un addio. Definitivo questa volta.
Andiamo con ordine. Cosa sta succedendo, perché questo addio a Benetton? È la sua azienda…
“Insomma, mi sono fidato e ho sbagliato. Sono stato tradito nel vero senso della parola. Qualche mese fa ho capito che qualcosa non andava. Che l’immagine del gruppo che i vertici aziendali ci avevano ripetuto nei consigli di amministrazione non era reale.”
Si tratta di accuse gravi…
“Fortunatamente, avevamo deciso da tempo di ritirare Benetton dalla borsa. E quindi i rischi imprenditoriali erano e sono tutti a carico della famiglia. Ma ancora una volta, per la mia storia, per quello che significa l’azienda, per i dipendenti, le famiglie, i tanti che entrano fiduciosi nei negozi dalla Moldavia a Parigi, da Nuova Delhi a Los Angeles, prima di lasciare il gruppo intendo spiegare con la trasparenza che mi caratterizza cosa è successo senza sottrarmi alle mie responsabilità”.
Ma cosa è successo di così grave da spingerti a lasciare tutto?
“Facciamo un passo indietro. Ho lasciato l’azienda nel 2012 quando era sana, con 2 miliardi di fatturato e un utile, anche se la logica dice che si può sempre fare meglio. Solo dopo una forte insistenza di mio fratello Gilberto ho deciso di rientrare nel 2018, poco prima della sua scomparsa. Edizione non era riuscita a trovare un management team di qualità. L’azienda stava perdendo molto. Appena rientrato ho cercato di risolvere gli errori più evidenti, verso fine 2019 mi hanno proposto una candidatura per il ruolo di AD”.
Fate come scritto nei manuali: per le famiglie imprenditoriali è meglio affidarsi a un manager in un certo momento dello sviluppo o di crisi…
«Sì, il mio ruolo in quel momento era quello di tutor per portare l’azienda all’autonomia gestionale. Se avessi avuto vent’anni di meno mi sarei impegnato in prima persona. La scelta ricade su un candidato che viene dalla montagna, mi piace, mi dico “scarpe grandi, cervello fine”, si presenta con una evidente voglia di capire e farsi carico dei problemi, anche del team dirigenziale da integrare. Devo dire che vengo avvisato da una sentita telefonata di un conoscente di non proseguire con questa persona perché la definisce assolutamente inadatta a un ruolo così complesso”.
Quindi c’era chi ti consigliava di essere cauto.
«Certo e naturale che condivido la mia forte preoccupazione con il consulente che me l’aveva proposto, il quale invece mi ha rassicurato insistendo sul fatto che la persona è ambiziosa e molto adatta alla crescita professionale».
Cosa succede poi?
“Iniziamo la collaborazione e spiego che sono disponibile per domande o approfondimenti nella massima autonomia dei rispettivi ruoli. Va detto che non mi ha mai chiesto nulla, né lui né i nuovi collaboratori che ha inserito, cinque dei quali provengono dall’area commerciale di un’azienda con una tradizione di mercato completamente diversa dalla nostra”.
Lei era presidente, avrebbe potuto intervenire. Aveva tutte le opportunità.
“Vede, io sono stato formato molto bene o a questo punto dovrei dire male, nel corso della mia vita professionale. Ho avuto rapporti con persone straordinarie dal carattere imprenditoriale che, se si assumevano una responsabilità, potevi star certo che avrebbero portato a termine l’impegno preso. Questo valeva sia per chi faceva affari nei negozi, sia per chi lavorava dentro Benetton. Un bagaglio di competenze che i cosiddetti nuovi manager hanno “potato” in poco tempo. Il fatto che non mi abbia mai chiesto nulla e non abbia mai discusso nemmeno di scelte delicate, come quella di eliminare figure professionali con lunga esperienza senza parlarne con me, l’ho interpretato come uno che ha studiato il caso e agisce consapevolmente. Sa, non immagino che le persone capaci vengano sostituite con persone inesperte. Penso che i cambiamenti siano per migliorare. Come ripeto, sono stato formato male, ho avuto la fortuna di avere intorno a me persone “responsabili”.
Bisogna considerare che nel mezzo c’è stato anche qualcosa come il Covid…
“Sì, il Covid che ha logicamente alterato l’attività e i risultati. Per questo il piano triennale per il pareggio è stato spostato al 2023 e l’obiettivo era accettabile. Infatti nei vari consigli i numeri continuano a dare l’immagine di un possibile pareggio. Solo il 23 settembre 1923 si accenna a qualche problema ma in modo flebile. E tutto sembrava sotto controllo”.
Ma siamo solo a settembre del ’23, quasi dieci mesi fa…
“Mentre riceviamo questi primi segnali in sala riunioni, dati in modo del tutto indifferente da parte loro, mi rendo conto che i conti non tornano e che il problema va ben oltre quanto dichiarato a settembre. Tra l’altro, da tempo ricevevo malcontento dall’interno e dall’esterno dell’azienda per l’atteggiamento arrogante e incompetente dei nuovi manager. Frasi come “abbiamo deciso e dovete attenervi” che non siamo abituati a sentire o usare in azienda, danno la caratura del nuovo team dirigenziale. Naturalmente lo dico chiaramente ai “nuovi” e in un consiglio di amministrazione esprimo la mia grande preoccupazione per un andamento economico che non torna per niente.”
Sottolinea che i numeri non tornano e che, cosa che succede, si stanno prendendo dei rimedi…
“In uno dei consigli dei mesi successivi esplode la bomba, ecco cos’è. Presentano all’improvviso un deficit di bilancio drammatico, uno shock che ci lascia senza fiato.”
Non puoi dirmi la cifra?
“Saremo sui 100 milioni. Tuttavia, tutto ciò che è emerso e sta emergendo da settembre ’23 è una vergogna.”
Dov’è stato l’errore?
“Guarda, o sono impreparati al punto da non riuscire a comprendere i fondamenti dell’azienda, quindi in buona fede ma gravemente inadeguati per i ruoli che hanno ricoperto, oppure hanno volontariamente deciso di tenere nascosta la realtà dei fatti omettendo quindi informazioni preziose, al punto da non poter più nascondere la verità. Ci sarà un’indagine su questo.”
Non ha nulla di cui rimproverarsi?
“Da parte mia, è stato grave aver avuto fiducia e aver pensato che fossero consapevoli e responsabili. Una cosa del genere, però, a questo livello di gravità e sorpresa, è impossibile da impedire. Ma ripeto, non cerco scuse, mi assumo la responsabilità di aver fatto la scelta sbagliata”.
E ora cosa succede a Benetton? Se ne va e?
“Adesso bisogna guardare avanti, nei prossimi mesi si farà un piano per il futuro, abbiamo perso quattro anni e questo rende tutto più difficile non avere la bacchetta magica. Purtroppo ci saranno dei sacrifici da fare. Quello che posso dire è che faremo il massimo sforzo per ritrovare l’energia dei momenti migliori e dare nuova vita a questo marchio che significa tanto per la nostra famiglia e che porta il nostro nome”.
25 maggio 2024
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