Sfida ai dirigenti televisivi
scritti giornalistici
Milano14 ottobre 2015 – 16:42
L’articolo di Pier Paolo Pasolini: il lancio della letteratura e dei libri sul piccolo schermo
L’edizione originale del «Corriere della Sera» del 9 dicembre 1973: guardia
Di PIER PAOLO PASOLINI
Pier Paolo Pasolini in un’immagine da «Profezia. L’Africa di Pasolini” di Gianni Borgna e Angelo Libertini
Molti lamentano (in questo frangente delausterità) i disagi dovuti alla mancanza di una vita sociale e culturale organizzata fuori dal centro “cattivo” nelle periferie “buone” (intese come dormitori senza verde, senza servizi, senza autonomia, senza veri rapporti umani). Lamento retorico. Infatti, se esistesse ciò che si lamenta in periferia, sarebbe comunque organizzato dal Centro. Quello stesso Centro che, in pochi anni, ha distrutto tutte le culture periferiche alle quali – proprio fino a pochi anni fa – era assicurata una vita propria, sostanzialmente libera, anche alle periferie più povere e miserevoli.
Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà consumistica. Il fascismo propose un modello, reazionario e monumentale, che però rimase lettera morta. Le varie culture particolari (contadini, sottoproletari, operai) continuavano imperturbabili a conformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione verbale. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro è totale e incondizionata. Vengono negati i veri modelli culturali. La ritrattazione è completa. Si può quindi affermare che la “tolleranza” nei confronti dell’ideologia edonistica voluta dal nuovo potere costituisce la peggiore repressione della storia umana. Come è stata possibile una tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema informativo. Strade, motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema informativo è stata ancora più radicale e decisiva. Attraverso la televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero Paese, storicamente così differenziato e ricco di culture originarie. È iniziata un’opera di omologazione che distrugge ogni autenticità e concretezza. Cioè, come dicevo, ha imposto i suoi modelli: quali sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, che non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma esige che non siano concepibili altre ideologie oltre a quella del consumo . Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.
La precedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come sappiamo, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che “omologava” gli italiani. Ora è divenuto concorrente di quel nuovo fenomeno culturale “omogeneizzante” che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere ha già cominciato a liquidarlo qualche anno fa.
In effetti, non c’è nulla di religioso nel modello del Giovane e della Giovane proposta e imposto dalla televisione. Sono due persone che valorizzano la vita solo attraverso i suoi beni di consumo (e, ovviamente, la domenica vanno ancora a messa: in macchina). Gli italiani hanno accolto con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le regole della Produzione che crea benessere (o, meglio, salvezza dalla povertà). Lo hanno accettato: ma sono davvero capaci di realizzarlo?
No. O materialmente lo realizzano solo in parte, diventandone la caricatura, oppure non riescono a realizzarlo se non in misura così minima da diventarne le vittime. La frustrazione o addirittura l’ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Ad esempio, il sottoproletariato, fino a pochi anni fa, rispettava la cultura e non si vergognava della propria ignoranza. Erano infatti fieri del loro modello popolare di analfabeti ma in possesso del mistero della realtà. Guardavano con un certo sfrontato disprezzo i “figli di papà”, la piccola borghesia, dalla quale si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno rinunciato al proprio modello culturale (i giovanissimi non se lo ricordano nemmeno più, lo hanno completamente perso), e al nuovo modello che cercano di imitare. non include l’analfabetismo e la maleducazione. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano il termine della loro professione dalle loro carte d’identità, per sostituirlo con la qualifica di “studente”. Naturalmente, da quando cominciarono a vergognarsi della loro ignoranza, cominciarono anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che acquisirono subito attraverso la mimesi). Allo stesso tempo, il ragazzo piccolo-borghese, nell’adattarsi al modello “televisivo” – che, poiché la sua stessa classe lo crea e lo vuole, gli è essenzialmente naturale – diventa stranamente rozzo e infelice. Se le sottoclassi sono diventate borghesi, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce lo sviluppo del vecchio “uomo” che è ancora dentro di loro. Da ciò deriva in loro una sorta di restringimento delle facoltà intellettuali e morali.
La responsabilità della televisione in tutto questo è enorme. Non certo come “mezzo tecnico”, ma come strumento di potere e il potere stesso. Non è solo un luogo attraverso il quale passano i messaggi, ma è un centro di elaborazione dei messaggi. È il luogo dove si concretizza una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito televisivo che si manifesta concretamente lo spirito del nuovo potere.
Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come nessun altro mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sulle cascine degli slogan di Mussolini fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto al trattore. Il fascismo, lo ripeto, non è riuscito sostanzialmente nemmeno a scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (soprattutto la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha dilaniata, violata. , lo ha rovinato per sempre. Ora una circostanza non certo dovuta al destino rimette parzialmente gli italiani in una situazione umana “antica”. Come in passato (cioè non più cinque o sei anni fa) gli italiani della periferia sono materialmente distanti dal Centro. La notte cade su mondi separati. La giornata si svolge secondo diversi rituali sociali. Il tempo riacquista caratteristiche che sembravano perdute e ripropone forme di esistenza che hanno un ritmo dimenticato. È una crisi. Perché nessuno può riadattarsi ad una forma di vita superata, soprattutto se superata attraverso l’abiura. Poiché la vita del villaggio, del quartiere, della campagna è irrecuperabile, gli italiani si trovano quindi di fronte al problema di come vivere e cosa fare, anche se solo per un giorno alla settimana, o per poche sere.
Ciò che, in tutto ciò, resta immutato, e quindi garantisce la continuità del modo di vivere ormai storicamente imposto, è la televisione. Non è difficile supporre che in questi mesi di confinamento e di noia, sia alla televisione che gli italiani si rivolgeranno senza possibilità di scelte per passare il tempo. Così che in un periodo di emergenza che però sembra destinato a fissarsi e a essere il nostro futuro, la televisione diventerà ancora più potente: e la violenza del suo bombardamento ideologico non avrà più limiti. La forma di vita – subculturale, indifferente e volgare – descritta e imposta dalla televisione non avrà più alternative.
Adesso i dirigenti televisivi sono soliti dichiararsi innocenti di tutto questo: la loro educazione umanistica e cattolica se anziani, la loro alta preparazione tecnica se di mezza età, non impedisce loro di deresponsabilizzarsi. Fanno finta di non capire e di credere sinceramente alle loro aperture a sinistra, ai loro programmi culturali…
Quindi eccoli qui al momento della verità. Se sono in buona fede, se il loro antico umanesimo, cattolico o laico, se la loro nuova cultura tecnica “progressista”, sono veramente sinceri, ora che la televisione è chiamata a svolgere un ruolo decisivo nello “spirito” della nuova società, devono dimostrare di essere dalla parte giusta, anche a rischio di risultare antiquati e impopolari. Non li sfido a una revisione totale dei loro programmi (e della loro coscienza): non voglio chiedere l’impossibile. Li sfido, in modo programmatico ed elementare, su un solo punto.
Sanno bene che la cultura di massa, così com’è, è sottocultura, o meglio, anticultura; e se il fenomeno è ormai irreversibile – essendo le masse una realtà – esso, come ogni fenomeno storico, va affrontato, corretto, modificato. Sanno bene anche che le lunghe serate e le lunghe domeniche invernali in casa possono riportare il problema, o la soluzione, della lettura: che, a differenza della televisione, non è un fenomeno di sottocultura, ma di cultura. Gli italiani (se mai li hanno scoperti) oggi possono riscoprire i libri. Sfido pertanto i dirigenti televisivi a dimostrare la loro buona fede e buona volontà, attraverso a lancio della lettura e dei libri: lancio non da relegare però a programmi culturali o a trasmissioni privilegiate: ma da organizzare secondo le infallibili regole pubblicitarie che impongono consumare. Il lettore-testimone mi scusi se questo mio penoso pamphlet, oggettivamente trascinato alla brachilogia, “desinit in piscem”: ma i Barnabei, i Fabiani, i Romanò, e i loro colleghi che contano, se vogliono possono superare ogni difficoltà burocratica e mettere ogni sera «Carosello» (?!) e altre trasmissioni simili, abbondantemente disponibili per questo nuovo compito, così nobile, altruistico e scandalosamente contraddittorio.
14 ottobre 2015 (modificato il 19 ottobre 2015 | 13:21)
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